L'utilità cardinale

Nel tentativo di rendere l’economia una scienza esatta, alcuni economisti dell’Ottocento introdussero il concetto di utilità cardinale, un’idea che oggi appare superata, ma che ha avuto un ruolo cruciale nello sviluppo del pensiero economico. Per intenderci: volevano misurare la felicità come si misura la temperatura. Peccato che le persone non siano termometri.

Cos’è l’utilità cardinale?

L’utilità cardinale è una misura quantitativa del piacere o della soddisfazione che un individuo ottiene dal consumo di beni e servizi.

In altre parole, non solo possiamo dire che “preferisco il gelato alla pizza”, ma possiamo anche dire “il gelato mi dà 10 unità di piacere, la pizza solo 6”.

Perché sì, c’è chi pensava che il piacere fosse conteggiabile con i numeri interi.

Esempio: Se mangio una mela e provo 8 “unità” di soddisfazione, e una pera me ne dà 4, secondo l’utilità cardinale posso dire che la mela mi piace il doppio. Così facendo, l’utilità diventa addizionabile e comparabile tra alternative diverse. Insomma, come se il gusto o il piacere avesse potesse essere scritto in un’etichetta nutrizionale insieme alle calorie e alle proteine, una sorta di "felicità per porzione". Già pensando a questo qualche dubbio verrebbe...

Le basi della teoria

La teoria si fonda su tre presupposti essenziali:

  • Misurabilità numerica: l’individuo è in grado di assegnare un valore preciso al piacere che prova. Ad esempio, questo caffè vale un 7,3 netto di benessere.
  • Conoscenza perfetta: ogni persona conosce esattamente la propria funzione di utilità. In realtà, l’essere umano non è una macchina. Spesso non riusciamo nemmeno a comprendere le ragioni di alcune decisioni irrazionali che prendiamo, anche quando finiscono per nuocerci. In altre parole, non disponiamo né di una razionalità perfetta, né di tutte le informazioni necessarie per capire con certezza cosa ci converrebbe fare o evitare.
  • Aggregazione collettiva: le utilità individuali possono essere sommate per ottenere un benessere collettivo. Ad esempio, la felicità misurata tramite la somma dei sorrisi che facciamo in un giorno. Un po’ troppo ottimistico, no? Se fosse davvero così, allora gli agenti di vendita sarebbero le persone più felici del mondo, visto che per lavoro sono spesso costretti a sorridere.

Esempio pratico. Se Marco ottiene 15 unità di utilità da un libro, e Anna ne ottiene 10 da una tazza di tè, secondo la teoria posso sommare le due utilità (25) per misurare un ipotetico benessere sociale.

I limiti della teoria

Con il tempo, gli economisti hanno evidenziato tutti i limiti strutturali della teoria cardinale che riassumo per semplicità in questi tre punti:

  • Conoscenza imperfetta: nessuno conosce la propria “funzione di utilità” con precisione matematica. Nemmeno chi passa la vita a scrivere saggi sull’argomento.
  • Soggettività dell’esperienza: il piacere è personale, non confrontabile tra individui. È come cercare di paragonare un concerto rock con una passeggiata nel bosco usando un righello.
  • Problema dell’aggregazione: non si può sommare ciò che è soggettivo e non misurabile con unità comuni. A meno che non siate burocrati molto creativi. Sarebbe come sommare i chilogrammi con i metri in fisica... chi mai lo farebbe?

In altre parole, l’utilità che io provo bevendo un caffè non può essere paragonata numericamente a quella che prova un’altra persona: anche se entrambi diciamo di “amarlo”, il significato è interno, qualitativo, non numerico.

Dall’utilità cardinale a quella ordinale

A causa di questi limiti, gli economisti neoclassici hanno abbandonato l’approccio cardinale, sostituendolo con una visione più realistica: l’utilità ordinale.

Secondo Vilfredo Pareto, non possiamo misurare l’utilità, ma possiamo ordinare le preferenze: possiamo dire cosa preferiamo, ma non di quanto. Insomma, non sappiamo quantificare il piacere, ma almeno sappiamo cosa ci fa battere il cuore (o cosa ci fa cambiare canale).

Esempio: Se preferisco un panino a una zuppa, e la zuppa a un’insalata, posso ordinare queste scelte. Ma non posso dire “quanto” in più mi piace il panino rispetto all’insalata. L’economia moderna si basa su questo tipo di preferenze, che sono rappresentate graficamente dalle curve di indifferenza

In conclusione, l’utilità cardinale cercava di quantificare la soddisfazione come se fosse una grandezza fisica. Ma il comportamento umano è più complesso: non misuriamo il piacere con il righello.

Da qui il passaggio a un approccio più flessibile, l’utilità ordinale, che rinuncia alla precisione numerica per concentrarsi sulle scelte reali che le persone compiono.

Questa transizione non è solo tecnica: riflette un cambio di paradigma. L’economia smette di voler essere una “fisica del comportamento” e accetta la soggettività come parte essenziale del ragionamento economico.

Finalmente, l’economia ha capito che le persone non sono calcolatrici con le gambe.

 

 


 

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